Maggio a Fossalto

Pagliara

1 MAGGIO

Il Maggio e la Pagliara


La Pagliara maje maje viene attualmente organizzata, il primo giorno di maggio, dalla Pro-Loco intitolata a Eugenio Cirese, poeta e studioso nativo di Fossalto (Campobasso). Nel 1955 Alberto Cirese, figlio del poeta, così descrive gli aspetti distintivi di questa tradizione: «La pagliara maie maie di Fossalto, dal punto di vista della morfologia estrinseca della simbolizzazione, si inserisce nella serie delle personificazioni del “maggio”. È diversa cioè da quegli alberi o rami di maggio, tanto diffusi anche in Italia, ed ai quali appunto in Italia, come anche altrove, viene dato il nome di “maio”. Ed è contemporaneamente diversa da altre personificazioni, anch’esse note in Italia, che sono dette “reginette” o “contesse” o “contessine” di maggio. È una personificazione coi suoi caratteri specifici, in parte analoghi a quelli che Arnold Van Gennep riconosceva al feuillu di certe zone della Francia».

Alberto M. Cirese sottolinea l’impressione di autenticità avuta durante l’osservazione dell’evento, in quegli anni, ed è interessante riportare le sue parole, che ci riconducono ad alcune questioni del presente, relative ai perduti caratteri di autenticità di alcune feste: «C’è una diffusa giocondità, e risa e gridi e strilli, ma tutto vien fatto con immediata spontaneità: non desiderio forzato di divertirsi, o spettacolo a beneficio del turista, o riesumazione artificiosa di tipo dopolavoristico; sì invece una cerimonia che si fa perché si è sempre fatta, e mancherebbe qualcosa se non si facesse; si fa perché è costume, perché piace, perché appare necessaria, o per qualunque altra ragione, ma non certo per ragioni estranee alla cerimonia stessa».

Oggi ci si interroga ampiamente sulle “ragioni estranee alla cerimonia” o, in generale, sulle ragioni delle cerimonie tuttora osservabili, e il “perché è costume” sembra apparire una spiegazione valida, almeno se si tiene conto che è il motivo più frequentemente addotto dai protagonisti stessi. Naturalmente queste considerazioni non sono applicabili a tutti i contesti, poiché in alcuni casi è prevalente la funzione di attrarre il turismo, riesumando o addirittura inventando le tradizioni, con la sollecitazione rischiosa di spinte dall’alto, cioè provenienti da ambiti estranei al vissuto locale. Attualmente la festa di Fossalto è un’occasione per rivivere collettivamente la propria tradizione, con un ampio coinvolgimento di bambini in costume, che accompagnano i personaggi principali: la Pagliara, lo zampognaro e il cantore.

Preparazione e corteo

Il 30 aprile si raccolgono i fiori e gli altri elementi vegetali necessari per l’addobbo, che viene completato nella tarda serata, per favorire il mantenimento della freschezza. La raccolta avviene nei campi, e nei giardini con il consenso dei proprietari, quando sono presenti. Si prepara inoltre la zuppa da distribuire il giorno successivo, composta da legumi che devono essere ammorbiditi e cotti separatamente. Il telaio è costituito prevalentemente da una leggera rete metallica adattata in forma conica. Sulla sommità è collocata una croce.

La mattina del primo maggio, la Pagliara, ormai pronta e in attesa di prendere vita, viene benedetta dal parroco, alla presenza dei bambini che sfileranno nel corteo. Una volta avvenuta la personificazione, attraverso un giovane che la indossa e la anima, si comincia ad annunciare l’arrivo del Maggio per le vie del paese. La Pagliara è accolta da consistenti getti d’acqua, versati dalle case in segno d’augurio, e le tracce di queste piogge improvvise segnano tutto il suo percorso. “Grascia, maie!” è il grido propiziatore d’abbondanza, che dovrebbe accompagnare questi getti. Dalla fessura, lasciata per consentire la visibilità, emerge a tratti il volto del portatore, sorridente ma un po’ affaticato. Come accade in situazioni analoghe, c’è sempre qualcuno che lo affianca, per facilitargli il cammino.

Rispetto ad altre rappresentazioni del Maggio, la personificazione ha un fascino maggiore, esprimendo una sorta di immedesimazione tra uomo e natura che rievoca immagini arcaiche. Il risveglio primaverile risulta efficacemente interpretato in questo mascheramento rigoglioso, che tanto contrasta con gli aspetti cupi di certe figure carnevalesche, come l’Uomo Cervo di Castelnuovo al Volturno o il Diavolo di Tufara: è il ritorno della vita contrapposto alle tenebre dell’inverno, il passaggio, dal fuoco che brucia e purifica, all’acqua fecondatrice. La Pagliara è lo spirito risorto dal rogo del carnevale, la testimonianza dell’efficacia del sacrificio, anche se non è disgiunta da aspetti sacrificali, in quanto costituita da elementi sottratti alla natura.

Il canto di questua

Nel Maggio di Fossalto un aspetto importante è costituito dal canto di questua, affine ad altri canti eseguiti in occasioni simili: «[…] il testo non solo è pressoché identico in tutte le località molisane, anche là dove in luogo della pagliara è in uso l’albero o il ramo, ma non differisce di molto da canti di questua per il maggio in uso in località non molisane. In altre parole l’area di diffusione del testo letterario è assai più vasta dell’area di diffusione della pagliara. Il che significa che il canto preesisteva alla introduzione della simbolizzazione pagliara, così come preesistevano le cerimonie di celebrazione del primo giorno di maggio. Il nuovo apporto, se tale fu, degli immigrati slavi si incontrò dunque con tradizioni in gran parte analoghe, e diverse solo in certe modalità: donde maggior facilità di accoglimento e di permanenza nel tempo».

Questa è una parte del testo del canto di maggio della Pagliara, “Ecchite maje”, registrato a Fossalto nel 1954 da Diego Carpitella e Alberto M. Cirese: «Ecchite maje e chi ò ri vò vedene / tutte li massaje i purtassene l’aine ammène / Signora padrona facciame na cosa lèsta / ca li cumpagne ce vuonne passà / e passa e repasseraje bene venga maje / Signora padrona e fai na cosa lèsta / si nin tì curtille / ji mo ti l’imprèste / Signora padrona vattin’a lu nide / si ‘n c’è l’uóve piglia la gallina / Signora padrona vatten’a lu lardare / taja ‘nchin’e guardati le mane / Chèssa figliola chi c’ai dà maritare / bbóna sorta Di ci li pozza dane / Signora padrona facéte na cosa lesta / ca li cumpagne ce vuónne passà / e passa e repasseraje bene venga maje / Jè arrivate maje e core pé la viarella / dèmme lavedat’alla famiglie di ri Canèlle / […]».

Il testo prosegue con strofe caratterizzate da riferimenti personali. Il canto fossaltese, secondo Diego Carpitella, si differenzia dai canti pastorali di altre regioni italiane: «L’elemento tipico che invece distingue lo stile della “pagliara” di Fossalto è quello della voce che si muove secondo gradi congiunti, con un disegno ritmico simmetrico e preciso, mentre nel fondo la zampogna sostiene con un pedale continuo appena accennato nel disegno dell’accompagnamento: in maniera cioè di dare l’impressione, apparente ma non reale, di una poliritmia» . Al termine del percorso il portatore finalmente si sveste e, nella piazza principale, dinnanzi alla Pagliara vuota, si compie la fase conclusiva della festa: la croce, staccata dalla sommità del cono, viene consegnata dal parroco al sindaco. Entrambi intervengono, sottolineando l’importanza della tradizione, e i loro discorsi sono scanditi dalle esibizioni di gruppi musicali, in particolare da suonatori di bufù, presenti in numerose manifestazioni molisane.

Testo e adattamento: E. De Simoni (tratto da Patrimonio immateriale del Molise)
Bibliografia: Alberto M. Cirese, La “pagliara maie maie”


Foto di Alberto Mario Cirese, gentilmente concesse dall’autore (1 maggio 1954)