Madonna delle Grazie a Vastogirardi

Volo dell’Angelo – 1 e 2 luglio


Il Volo dell’Angelo (o Calata dell’Angelo) è un rito che, in più regioni italiane, in occasione di feste religiose, vede come protagonisti dei fanciulli, i quali, istruiti sul ruolo da interpretare e abbigliati secondo particolari esigenze sceniche, diventano gli ‘attori’ d’una suggestiva rappresentazione devozionale. Nel Molise, il volo dell’angelo è oggi tradizione esclusiva di Vastogirardi, ma nei secoli scorsi ha interessato anche altre località.

Le origini

Giorgio Vasari, dando notizia degli ingegni ideati da Filippo Brunelleschi, scrisse che ve n’erano alcuni che permettevano d’inscenare sacre rappresentazioni durante le quali si poteva ammirare un cielo pieno di figure vive moversi, tra cui putti vestiti da Angeli; ed il pubblico restava meravigliato ad osservare immagini illusorie, come quando co’ canapi e le ruote gli angeli scendevan dal cielo.

Ecco alcuni stralci della descrizione che Vasari fece delle macchine utilizzate da Brunelleschi a Firenze, nel 1439, per la Rappresentazione dell’Annunziata: «Dicesi ancora che gl’ingegni del Paradiso di S. Felice in piazza, nella detta città, furono trovati da Filippo, per fare la rappresentazione o vero festa della Nunziata, in quel modo che anticamente a Firenze in quel luogo si costumava di fare. La qual cosa invero era maravigliosa, e dimostrava l’ingegno e l’industria di chi ne fu inventore: perciò che si vedeva in alto un cielo pieno di figure vive moversi […]. …per questo effetto […] si metteva in su ciascuna delle dette basi un fanciullo di circa dodici anni e col ferro alto un braccio e mezzo si cigneva in guisa che non avrebbe potuto, quando anco avesse voluto, cascare. […]. Questi otto angioli retti dal detto ferro mediante un arganetto che si allentava a poco a poco, calavano dal vano della mezza palla fino sotto al piano de’ legni piani che reggono il tetto […]. Questi dunque così fatti ingegni e molti altri, furono trovati da Filippo; se bene alcuni altri affermano che egli erano stati trovati molto prima».

Qualche anno dopo la creazione degli ingegni di Brunelleschi, nel 1453, a Reggio Emilia si rappresentò un trionfo in onore del Duca Borso d’Este, durante il quale discesero dall’alto tre comparse vestite da angeli, scorrendo per mezzo di corde. E nel 1460, un coro di angioli vivi suso alti che volitavano entrò nella chiesa di san Mercuriale a Forlì assieme ad un corteo festoso. Si trattò «…dell’impiego parziale o in scala ridotta d’un mirabile ingegno o congegno fiorentino (i fiorentini, almeno se ne attribuirono la paternità), consistente in una struttura sospesa, cava all’interno (il tabernacolo o roda), capace di contenere angeli, santi, Dio padre, Cristo e tutto quanto potesse alludere alla gloria paradisiaca, illuminata da una miriade di lumi e sprigionante melodie. A ciò si aggiungeva un secondo meccanismo che permetteva a coloro che erano vestiti da angeli di scendere e salire, simulando il volo per funes».

Il Volo dell’Angelo a Vastogirardi

L’inizio di luglio è periodo festivo importante per Vastogirardi (Isernia). I primi due giorni del mese sono riservati alla celebrazione della ricorrenza della Madonna delle Grazie, con la rappresentazione del volo dell’angelo, che tenta di coniugare religiosità popolare e spettacolarità. Il 3 luglio, inoltre, il paese festeggia il patrono, san Nicola di Bari, in una data diversa da quelli che, in altri luoghi, sono i giorni solitamente riservati a questo santo: il 6 dicembre e il 9 maggio.

A Vastogirardi, la tradizione del Volo non è antichissima. Infatti, per quanto documentato dalle fonti, la prima edizione risalirebbe al 1911, per volere di Vincenzo Nicola Liberatore. Costui, secondo quanto tramandato dalla tradizione locale, all’esordio del Novecento fece ampliare la piccola cappella dedicata alla Vergine delle Grazie che divenne una bella chiesa. Terminate le opere, in occasione dell’inaugurazione dell’ampliato edificio sacro, Liberatore volle che l’evento fosse celebrato in modo caratteristico e memorabile. Pertanto, pensò a qualcosa in grado di meravigliare i suoi compaesani. Fece, così, realizzare un sistema di carrucole che, collegando la chiesa ad una casa che la fronteggia, consentì di rappresentare la scena del volo dell’angelo. Sembra che egli abbia incontrato qualche scetticismo tra i suoi compaesani, i quali ritenevano pericoloso far scorrere in aria, appesa a delle corde, una bambina. Allora, per la prima edizione del Volo, che si tenne il 2 luglio 1911, Vincenzo decise che ad interpretare l’Angelo fosse sua figlia Maria Carmela. La rappresentazione ebbe favorevoli riscontri, ma negli anni immediatamente successivi non fu ripetuta. Nel 1921, però, il Volo fu nuovamente rappresentato e, dopo nuove interruzioni, la sacra rappresentazione ha trovato regolare e documentato svolgimento.

L’Angelo viene interpretato sempre da una bimba, preferibilmente d’età compresa tra i quattro e i sei anni. La bambina viene vestita con un costume di scena (tunica monocolore e posticce ali decorate), quindi è assicurata ad un solido cavo d’acciaio per mezzo d’una imbracatura di cuoio, imbottita e foderata di velluto. L’imbracatura è dotata d’un congegno di carrucole, al quale si legano pure le caviglie della bimba, in modo da non farle tenere le gambe penzoloni. Il percorso del Volo è lungo circa quaranta metri e viene compiuto più volte, ad un’altezza non eccessiva dal suolo. L’Angelo vola dal balcone d’una casa fino alla statua della Madonna che, in tale occasione, viene esposta davanti la facciata della chiesa. Una robusta corda, manovrata da uomini esperti, fa scorrere l’Angelo lungo il cavo d’acciaio. I voli sono accompagnati dalla musica che una banda suona a mo’ di colonna sonora ad ogni percorso d’andata e ritorno. Il sistema di carrucole non consente all’Angelo di voltarsi, per cui la bimba compie i viaggi senza mai girare le spalle alla Madonna.

La sera del 1° luglio, alle 21 circa, l’Angelo, con ali bianche e vestito del medesimo colore, compie tre voli. Al primo, giunto dinanzi al simulacro, recita una preghiera di ringraziamento alla Vergine. Al secondo, sparge incenso verso la statua. Al terzo, lancia petali di fiori verso la Madonna e poi, lungo il tragitto di ritorno, anche sul pubblico.

La mattina del 2 luglio, dopo mezzogiorno, la rappresentazione si ripete con alcune varianti. L’Angelo stavolta indossa ali e abito celesti. Inoltre, ai tre voli compiuti secondo lo schema della sera precedente, se ne aggiunge un altro (effettuato come secondo passaggio) che vede l’Angelo donare, in nome di tutta la comunità, un “pegno d’amore” alla Vergine, consistente di solito in un monile d’oro offerto dalla famiglia della bimba che impersona l’Angelo.

Le due rappresentazioni del Volo seguono una messa e precedono una processione. La processione serale del 1° luglio compie un percorso cittadino al termine del quale la statua della Madonna torna nella propria chiesa. Quella mattutina del 2 luglio vede portare la statua nella chiesa di San Nicola, dove resta fino al giorno seguente – data in cui Vastogirardi, come detto, festeggia il suo patrono – per poi essere ricondotta nella chiesa d’origine. Il trasporto è curato dalle donne, cui è riservato tale ruolo in entrambe le processioni. La statua, in occasione della festa, è coperta di numerosi oggetti d’oro (anelli, bracciali, catenine, orecchini, collane) donati dai fedeli e applicati su una elegante stola.

Il Volo dell’Angelo in Molise

Nel 1852, il Volo dell’Angelo fu vietato a causa della “sua pericolosità”. Il divieto, però, non ebbe granché effetto se, sul finire del XIX secolo, Angelo De Gubernatis – ospitando nella Rivista delle tradizioni popolari italiane un articolo di Gaetano Amalfi e prendendo spunto dalle informazioni che gli aveva inviato da Campobasso Francesco Montuori – scrisse che si trattava di un’usanza ancora diffusa “nel Mezzogiorno, e specialmente nel Molise”.

L’avverbio utilizzato da De Gubernatis induce a pensare che, a quel tempo, la tradizione molisana fosse significativa anche più di quella campana o di quella siciliana, generalmente reputate più importanti e da ritenere tali in base all’attuale diffusione geografica del rito. Le notizie ‘molisane’ fornite da Montuori furono riportate in una nota aggiunta al menzionato articolo di Amalfi. Eccole: «La calata dell’Angelo è un’altra consuetudine tradizionale ancora viva e che si vede in un giorno qualunque di festa, secondo la genialità di quelli che la dirigono. Dopo che la Madonna o il Santo è stato portato in giro per tutto il paese, si fa fermare sul luogo dove deve apparire l’angelo e comincia la cerimonia. Per una corda attaccata tra due balconi, e per mezzo di piccole carrucole ai piedi ed alle ascelle, scende un bel fanciullo vestito da angelo. Egli si ferma dinanzi l’immagine della Madonna ed in prosa ne fa le lodi, invocando insieme da essa protezione sul paese ed una buona stagione. Finita l’invocazione, getta alla Madonna un fazzoletto pieno di petali di fiori, tra i canti e le benedizioni dei devoti, e per mezzo della corda viene ritirato dal punto dove era sospeso». Montuori fu generico: non indicò date celebrative, né culti specifici e neppure località. È certo, però, che durante il XIX e il XX secolo la calata dell’angelo è stata messa ripetutamente in scena in diversi paesi del Molise.

A Jelsi, il volo dell’angelo – di cui si ha notizia per la festa in onore di Sant’Anna – «è scomparso durante il ventennio fascista. Esso consisteva nel far scorrere, sospeso ad un cavo fissato ai muri opposti di una strada, uno o più ragazzini vestiti da angioletti che in occasione del passaggio della Santa lanciavano, recitando alcuni versi, petali di fiori. Solitamente erano delle famiglie girovaghe che venivano invitate nei diversi paesi della provincia, e guadagnavano da vivere facendo questo lavoro».

Uno spettacolo simile si svolgeva a Isernia, in piazza Sanfelice, dove negli anni venti dello scorso secolo si organizzava il Volo degli Angeli, lungo un percorso che andava dal palazzo della famiglia Veneziale a quello della famiglia Magnante.

A Campolieto, il 29 settembre, quando transitava per il paese la processione di San Michele, si inscenava «la cosiddetta Calata dell’Angelo, che consisteva nel mettere una corda tesa in alto, che andava da una finestra del palazzo baronale fino ad un balcone di una casa di via Roma, e nel far scendere un bambino vestito da angelo giù per la corda e quando arrivava sulla statua lo si faceva fermare e dopo che aveva recitato una preghiera a San Michele, di cui però, nessuno ricorda la formula, veniva ritirato su; la calata dell’angelo è stata fatta fino a verso il 1940».

I fedeli di Montorio nei Frentani avevano modo d’assistere alla calata dell’angelo a giugno, durante uno dei giorni di festeggiamento “in onore del nuovo e antico protettore”, San Costanzo e Sant’Antonio. Anche a Montagano c’è memoria del volo dell’angelo; così come a Civitanova del Sannio, dove veniva rappresentato a fine agosto, in concomitanza della festa di San Felice Martire.

Un tempo, a Petrella Tifernina, per rendere più solenne la ricorrenza di San Gaetano, veniva ingaggiata «una compagnia proveniente da Vietri (Campania), formata da cinque suonatori di strumenti diversi ed una fanciulla. Una fune veniva tesa ad altezza balcone, fra due abitazioni, all’inizio di Via Garibaldi e precisamente vicino all’Orchestra. La fanciulla, vestita da Angelo, veniva sospesa in aria alla corda e scarrucolando avanti e indietro su di essa, elogiava il popolo, esortava il Santo e benediceva: questo avveniva a mezzogiorno, al passare della processione. Quella giovane fanciulla, issata lassù in costante pericolo, toccava i cuori più duri sino alla commozione ed era un applaudire continuo accompagnato da ogni tipo di offerte».

Anticamente, a Bonefro la processione di Sant’Antonio era caratterizzata dalla cascata dell’angelo. «Gli ‘angeli’ erano […] quattro o cinque, venivano fatti calare dal primo balcone fin sopra la statua del santo. Dicevano i loro padri che fungevano da manovratori: Angelo per angelo, vieni qui da me! Il piccolo ‘angelo’, arrivato nel punto stabilito, recitava una piccola poesia religiosa, quindi veniva fatto risalire sul secondo balcone. I bambini dovevano stare in attesa anche per un’ora, tanto da diventare ‘neri’ per l’arresto della circolazione del sangue. ‘A chescate de ll’ang’le a un dato momento non fu più effettuata, finché l’usanza non fu ripresa per un breve periodo di tempo negli anni ’30. Allora veniva in paese una famiglia di Riccia, composta dal padre, da tre figli maschi e da una bambina di 7 o 8 anni. […] vestita da angelo veniva calata sulla statua del santo, con il compito di gettare i fiori e di invocare la protezione di S. Antonio con le parole: S. Antonio ejute ‘u pop’le… S. Antonio sii benedetto!… Benedici questo popolo!… Alla fine la bambina veniva fatta scendere, mentre i suoi familiari giravano tra i fedeli a raccogliere le offerte con i piattini».

Testo: M. Gioielli (tratto da Feste e Riti d’Italia)


Foto: E. De Simoni e D. D’Alessandro (1 e 2 luglio 2006)
Archivio Fotografico dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia